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La recensione di Federica Sustersic Caligola e la seduzione d’un’orrenda bellezza. Significa essere come gli dei, oltre gli dei, dimora d’un’anima troppo grande. Significa proclamare che questo e quello sputando sulla feroce razionalita umana che infanga l’analogia dei folli, dei bimbi e dei poeti. Significa darsi da se un’altra logica, imporla al mondo intero per far sorgere il sole a potente, sorgere anzi egli stesso a ponente dal tramonto d’ogni umana ragione. Nello sciame nervoso di cortigiani sempre in moto senza meta Caligola e un nuovo sole, terribile e lucente. Un sole che incenerisce, un imperatore che trascina nel suo danzare ogni cosa ed insegue la luna come una sete di cose impossibili. E lo fa lucidamente perche “la morte e una verita che rende necessaria la luna”. Caligola e l’anima circondata eppure separata, folle o divina, anima sola sfiorata da un’altra anima che brucia, quella del poeta Scipione, ma poi ancora e ancora sola, bandita dal consesso degli uomini a causa d’un’estetica di “sangue” che unica potrebbe avvicinarsi a significare l’ineffabile atrocita del Vero. Grazie alla forza abissale d’un rigore logico che sostituisce alla crudele casualita del morire di Natura una proclamata colpevolezza, i filosofemi di Caligola si trasformano in cadaveri. Creatura terribile d’una grande mente del ‘900, l’imperatore di Camus non solo non accetta la volonta degli dei, ma pretende esso stesso di farsi personificazione d’una razionalita eretta a divinita. In spregio ad ogni imponderabilita teologica, Caligola si serve della preziosa logica umana, divenuta arma efferata, per imporre alla Natura nuove leggi di morte che non esitino dinnanzi a nessuna crudelta. Nessuno e sufficientemente alto per dialogare con la snervata ragione di Caligola. Il suo stesso cuore e sordo ai grotteschi canti funerei con cui i cortigiani riempiono fogli e fogli. Il suo grido rimane logico e gelido, la sua sofferenza non si mitiga, se non per pochi istanti, nel tepore d’un altro amore che sopravviva a Drusilla e che sia in grado di cantarla. Non esiste melodia che sappia addolcire quel sapore di febbre, sangue e morte nella sua bocca. Al lucido-folle imperatore non resta che dialogare con la folla dei defunti, compagni del suo eterno presente di divinita. Nel “Caligula” diretto da Eimuntas Nekrosius gli abissi del pensiero si reificano nei macigni che non abbandonano la scena e la dialettica feroce si fa carne nello scontro dei corpi tesi in una fisicita esasperata che sente l’esigenza di significare il testo, d’eguagliare la potenza delle parole. Volti contratti, voci strozzate, stridori, fragori e passi come aratri sulle assi … il testo si dissolve nell’azione e in una sonorita che oltrepassa il livello del linguaggio mentre una struggente musica accompagna ogni gesto, ogni grido e non conosce fine, pur spezzata, come fosse disperso e raccolto frammento d’una ossessiva bellezza, continuamente abbattuta e rinata. La messa in scena del capolavoro di Albert Camus viene presentata al Teatro Olimpico di Vicenza in lingua russa. Il linguaggio, dunque, per la gran parte degli spettatori si fa puro significante, nelle capriole d’un simbolismo fonico, nelle armonie e disarmonie d’un testo percepito come melodia … ma il significato? L’apparato dei sovratitoli soccorre certo lo spettatore, ma non puo coronare la ricezione della complessita dell’opera. D’atro canto l’estetica altamente filosofica di Camus si oppone ostinatamente ad una, pur intensa, riduzione a suggestione emotiva e visuale. La profondita tradotta in gesto, danza o scontro, perde necessariamente molte delle sfumature di pensiero che rendono cosi potente quest’opera dell’esistenzialismo francese. Eppure e potente la strada percorsa da questo “Caligula”. Alternativa, ma potente. Ha tutta la lacerante violenza di quello “schifo” di vivere gettato dal disperato imperatore come un insulto sulla platea. Eppure Caligola continua a saltare ebbro per afferrare la luna sputando insieme all’anima il sorridente nome di Drusilla. Elicone, fedele fino alla morte, gli portera infine la tanto bramata luna. Ma l’oscuro eroe della tragedia non la puo ormai riconoscere, non piu uomo, onnipotente e distrutto. In un precipizio di vetri infranti, pezzi dell’anima, si consegna uomo e non piu dio, alla storia e non ai cieli.